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C’è chi ci mette un attimo, chi no. E' una storia che inizia da bambini quella degli stili di attaccamento e poi continua

C’è chi ci mette un attimo a stringere amicizie, a conoscere persone, ad entrare in relazione con i colleghi e chi, invece, fa tanta fatica. Un po’ per mancanza di fiducia, un po’ per paura di rimanere delusi, a volte per timore di non essere graditi, diventa molto faticoso entrare in relazione con gli altri.

C’è chi ci mette un attimo, chi no

E’ evidente che la prima forma di attaccamento la sviluppiamo nei confronti di chi si occupa di noi. Questo è il punto di partenza. Attraverso la relazione con chi si occupa di noi da piccoli, iniziamo a comprendere che non siamo l’ombelico del mondo e non abbiamo qualcuno sempre a nostra disposizione. Se siamo fortunati abbiamo spesso qualcuno che si occupa di noi, non sempre. E questo non ci piace, perché da piccoli pensiamo di essere noi stessi il mondo. Ma, pian piano, scopriamo che noi e la tetta o il biberon che ci dà il latte, non siamo un tutt’uno. Esiste il resto-da noi, esiste l’altro-da noi. Questo passaggio non è piacevolissimo, ma ce ne facciamo una ragione.

Aggiungendo un altro po’ di passi, scopriremo anche che l’altro-da noi esiste e ha gli stessi nostri diritti … ma questo accade che già camminiamo, perché anche se il nostro cervello lo sa da prima, le regole non è che ci piacciano. Ma alla fine ci facciamo una ragione anche di questo.

E proseguendo di questo passo ci mettiamo sempre più in relazione con gli altri, sviluppando modalità che non sono immutabili, ma fortemente segnate dalle relazioni primarie.

La Teoria dell’attaccamento

Su questo ragionamento, che ho riassunto per più che sommi capi, è stata fatta una delle teorie più importanti della psicologia: la teoria dell’attaccamento, iniziata da John Bowlby e continuata da successorə.

La teoria dell’attaccamento studia la capacità di instaurare forti legami emotivi con particolari individui come una componente di base della natura umana, già presente nel neonato e che continua attraverso la vita adulta, fino alla vecchiaia.

Il legame con gli altri esiste indipendentemente dai bisogni primari, ha una funzione di sopravvivenza e ha uno scopo di tipo protettivo, sia nel cercare sia nel dare protezione. Gli esseri umani sono “animali sociali” in modo spontaneo.

Durante l’infanzia e la fanciullezza i legami si creano con i genitori o con chi si occupa di noi. Ci rivolgiamo agli adulti per cercare protezione, aiuto e assistenza. Durante l’adolescenza e l’età adulta a questi legami se ne aggiungono altri.

Gli stili di attaccamento

Inizialmente le principali modalità di attaccamento erano tre, poi agli studi di Bowlby ne sono seguiti altri, gli stili sono diventati quattro e la teoria è stata ulteriormente sviluppata da importanti studi e ricerche.

  1. Attaccamento sicuro – l’infante è fiducioso che chi lo ha in carico sarà disponibile, sensibile e di aiuto. Il bambino si sente coraggioso nelle sue esplorazioni del mondo circostante. Questa modalità è promossa dall’essere circondati da persone disponibili e sensibili ai segnali del bambino, capaci di rispondere amorevolmente quando cerca protezione e/o sicurezza. E’ evidente che questa sia la modalità migliore possibile, che ci renderà di essere in grado di instaurare legami sereni e sani.
  2. Attaccamento insicuro-ambivalente – questo stile di attaccamento si sviluppa quando il bambinə non è sicuro di essere circondato da adulti disponibili o sensibili o che siano di aiuto in caso di bisogno. A causa di questa insicurezza, manifesta angoscia di separazione, tende ad essere sempre avvinghiatə alla madre ed è ansiosə nelle sue esplorazioni del mondo. Questa modalità è determinata da genitori disponibili e di aiuto in certe occasioni, ma non in altre e da separazioni e minacce di abbandono usate a scopo di controllo. Un tale stile di attaccamento non è funzionale nelle relazioni adulte perché rende sospettosi e diffidenti.
  3. Attaccamento insicuro-evitante – è il caso in cui in cui non ci si aspetta di essere aiutatə, ma respintə. Fin da piccoli si cercherà di diventare emotivamente autosufficienti. Questo stili è la conseguenza di ottenere un costante atteggiamento di rifiuto da parte di chi se ne occupa quando cerca protezione o conforto. I casi più severi sono il risultato di rifiuti ripetuti, di maltrattamenti o di una prolungata istituzionalizzazione.
  4. Attaccamento disorganizzato – si sviluppa in situazioni particolari e fa sì che la figura d’attaccamento rappresenti al contempo una fonte di protezione ma anche di pericolo. Provoca uno stato di paura che non trova pace né con l’allontanamento né con la vicinanza; di conseguenza il comportamento si disorganizza.

C’è chi ci mette un attimo, chi no

Gli studi hanno dimostrato che questi stili di attaccamento non sono immutabili, ma tendono a permanere anche da adulti. Possiamo ritrovarli in ogni tipo di relazioni, dalle amicizie ai rapporti di coppia e nell’ambiente di lavoro.

Le ricerche hanno anche dimostrato che, durante i primi anni di vita, la modalità di attaccamento non è una sola uguale con chiunque. Ad esempio lo stile di attaccamento che si instaura con la madre può essere diverso da quello che si instaura col padre. Inoltre, se i genitori cambiano il comportamento, cambierà anche la modalità di attaccamento.

Cosa succede “da grandi”? Succede che possiamo, dopo diverse peripezie, avere sviluppato uno stile a cui aderiamo, in modo del tutto inconsapevole, e che deriva da tutto ciò di cui ho scritto sopra.

A un certo punto sarebbe adeguato diventare padroni della propria vita e delle proprie azioni. Se ci si accorge che ci sono difficoltà relazionali continuative, è necessario provvedere per cambiare. Non è funzionale vivere una simile difficoltà e con la psicoterapia è possibile affrontare l’argomento e riuscire a cambiare una situazione che è in stallo da troppo tempo.